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Su una cosa potremmo essere tutti d’accordo, ed è un dato semplice da capire: le giornate dell’8 e 9 giugno saranno politicamente ricordate per la risposta che gli italiani hanno deciso di dare (anche attraverso il non recarsi al voto) sulla proposta politica contenuta nei quesiti referendari proposti dalla Cgil e sostenuti, poi, da Partito democratico, M5S, Avs e Più Europa.
Una risposta che, come spesso avviene nella dinamica politica nostrana, ognuno degli attori coinvolti ha cercato di giocare o massimizzare tenendo conto del suo dividendo di consenso; un gioco che, visti i numeri riportati dalla consultazione questa volta, però, è stato più difficile da mettere in scena, soprattutto sul lato di sinistra e, segnatamente, sulla sponda Cgil, ma anche del Pd. Il segretario Cgil Landini ha pubblicamente ammesso la sconfitta, mentre tutti gli altri sostenitori hanno cercato di limitare i danni, ricorrendo a paragoni o letture dei dati, a dire il vero, abbastanza surreali: questo, forse, per un elettore di centrosinistra, ma anche per chi ha cuore i meccanismi di funzionamento della democrazia dei partiti, il dato più inspiegabile.
Dalla Cgil, che molto ha spinto sui quesiti referendari riguardanti il mercato del lavoro e il Jobs Act, in particolare, adesso ci si aspetta una fase di riflessione sulla linea d’azione portata avanti fino a questo momento e, soprattutto, una risposta rispetto al coinvolgimento molto basso non solo della cosiddetta società civile, ma anche di tutti quei lavoratori che il sindacato di Landini aveva chiamato alla mobilitazione. Una battaglia politica giudicata sbagliata dalle urne o, quantomeno, fuori bersaglio e il maggior sindacato italiano, di fronte a questo, è chiamato a uno sforzo, anche doloroso, che deve portare a un cambio nella forma e nei contenuti: questo per evitare quella marginalizzazione che alcuni strati della popolazione (giovani, soprattutto) vede ormai da diverso tempo nello ‘strumento sindacato’, riconosciuto come qualcosa di inadeguato o non al passo con le proprie aspirazioni, soprattutto quando si tratta di dare una lettura di diritti e mercato del lavoro.
Qualcuno, a proposito della Cgil, ha paragonato la sconfitta del referendum a quella subita negli anni Ottanta dalla dura vertenza sindacale apertasi con la Fiat e culminata nella cosiddetta ‘marcia dei quarantamila’; un paragone, forse, che pecca di eccessivo pessimismo, ma che non esime il sindacato dal dare un riscontro su ciò che intende fare o dire per recuperare un rapporto con la società nel suo complesso: l’esito referendario lascia sul tavolo delle risposte, ma anche delle domande e questa è una di quelle. Ma il risultato dell’8 e 9 giugno lascia dei quesiti anche nella buca delle lettere dei partiti, soprattutto del Pd e della sua segretaria, Elly Schlein: imboccando la strada del sostegno al referendum, ha di fatto spaccato e riportato alla luce quella frattura con l’ala riformista del suo partito e con gli alleati di Italia Viva e Azione che, negli ultimi tempi, ha inciso sempre di più sulla definizione e comprensione delle scelte fatte su temi importanti, come la guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente, ma anche della configurazione del ruolo che intende svolgere quale maggior partito del centrosinistra. Questo chiarimento può arrivare attraverso un congresso in cui si mettono le carte in tavola e, soprattutto, le idee? Questa può essere una via d’uscita, anche perché la risposta di un partito plurale agli occhi di non pochi elettori non fidelizzati il Pd si è trasformato in una sorta di maionese.
E si potrebbe continuare. Ma ci fermiamo qui, perché il referendum ha dato le sue risposte: risposte che pongono domande alla sinistra politica e sindacale di questo Paese e che meritano un riscontro. Per rispetto degli elettori e per evitare altre sconfitte.
Pierpaolo Burattini
Scritto da: Radio Glox
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