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Leggere Čechov oggi

today19 Maggio, 2025 75 10

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A coloro che subissero il fascino degli autoritarismi, Vladimir Nabokov consigliava di leggere Čechov. Nei suoi racconti brevi, privi di tensione artificiosa o enfasi, incontriamo un’umanità a tratti ingenua ma in fondo gentile, camminiamo tra paesaggi a tinte acquarello, senza gesta eroiche e mondi da salvare, o verità assolute da rivelare: insomma, diceva Nabokov ai suoi studenti americani, Čechov ci parla della vita così come la conosciamo. “Quei nudi paesaggi, i salici rinsecchiti lungo strade tristemente fangose, i corvi grigi che svolazzano in cieli grigi, l’improvviso soffio di un qualche incredibile ricordo nel più ordinario dei luoghi – di tutta questa toccante opacità, di tutta questa amabile debolezza, di tutto questo mondo cechoviano grigio tortora vale la pena di fare tesoro alla luce abbacinante di quei mondi forti, sicuri di sé che ci vengono promessi dagli adoratori degli stati totalitari”.

Il 9 maggio di ogni anno l’Europa celebra il suo percorso di integrazione: la data segna la ricorrenza dell’anniversario della dichiarazione Schuman. Robert Schuman, nato in Lussemburgo da padre francese diventato tedesco con l’annessione della Lorena, studiò in Germania e dopo la guerra (evitò per un soffio la deportazione a Dachau) si dedicò alla politica francese ed europea, considerando questo impegno come missione. Nel 1950, in qualità di Ministro degli Esteri francese, pronunciò appunto il famoso discorso che avrebbe promosso il primo embrione di unità continentale, ovvero la Comunità Europea del carbone e dell’acciaio (CECA), di cui avrebbero fatto parte, oltre a Francia e Germania, un piccolo numero di stati fondatori (tra cui l’Italia). L’idea di Schuman e dei suoi collaboratori, semplice e concreta, era che la condivisione della produzione di carbone e di acciaio (cruciale, fra l’altro, per la produzione di armi) avrebbe reso impensabile, anzi: impossibile, un’altra guerra fra nazioni che erano state rivali, proteggendo così l’Europa. Un video del 1950, in bianco e nero, ci restituisce Schuman che pronuncia il celebre discorso: gli occhiali spessi, seduto al tavolo di una sala gremita, un frusciare di carte in sottofondo, con voce misurata ci ricorda che l’Europa non sarà fatta in un solo giorno, ma con piccoli passi quotidiani volti a creare anzitutto una solidarietà e una vicinanza fra i popoli che viva nei fatti, non in vuote dichiarazioni. Nel 2021, la chiesa cattolica ha riconosciuto Schuman come venerabile, dando inizio al processo di beatificazione.

Altre ricorrenze importanti, va da sé, cadono il 9 maggio (in Italia, per esempio, si ricorda il tragico ritrovamento del cadavere di Aldo Moro ucciso dalle Brigate Rosse, un avvenimento che avrebbe segnato in modo irreversibile la storia repubblicana).

In Russia e in altri paesi del fu blocco sovietico, il 9 maggio si festeggia la vittoria dell’URSS sulla Germania nazista nella Seconda guerra mondiale (o grande guerra patriottica, come viene chiamata in russo). La tradizionale celebrazione (sovietica prima, russa oggi) prevede una parata militare in pompa magna, scandita da slogan, marce, sfilate a imprimere nella memoria propria e altrui la volontà di potenza anteposta a ogni altra, come da manuale di istruzioni autocratico. Lo scorso 9 maggio, circondato da soldati e mezzi militari sulla Piazza Rossa a Mosca, Putin ha fatto esplicito riferimento alla guerra in Ucraina (o operazione speciale, come ufficialmente si ostinano a chiamarla le autorità russe). Accanto a lui, il leader cinese Xi Jinping (la televisione di stato russa ha parlato di ottime relazioni fra i due paesi, “uniti contro l’occidente”), l’autocrate bielorusso Lukašenko, il venezuelano Maduro, ed altri (non il nordcoreano Kim Jong Un, che non prende l’aereo ma ha rimarcato il legame di amicizia con una visita all’ambasciata russa di Pyongyang). Per tutti, da palchi rosso fuoco eretti per l’occasione, sorrisi tirati col sole in faccia, melliflue dichiarazioni di amicizia reciproca, e pompose parole di grandeur come si confà alla ricorrenza.

Lo scrittore russo Boris Akunin, critico del Cremlino e dell’invasione dell’Ucraina (per questo dichiarato dal governo di Putin “estremista e terrorista”, ed oggi residente a Londra), intervistato da Paolo Nori qualche settimana fa ha detto che in effetti “non è facile, oggi, essere uno scrittore russo”, ma che gli artisti russi rimangono un argine saldo alla follia collettiva. Forse la partita più importante della Russia contemporanea, ha detto Akunin, si gioca sulla cultura: dal punto di vista politico Putin e l’apparato stantio del KGB hanno vinto, ma non hanno vinto in ambito culturale. “La lotta attuale è per la conquista delle menti e dei cuori”: di fronte a pressioni e minacce la cultura russa ha risposto (non per la prima volta nella storia) emigrando o sottraendosi con sdegno alla partecipazione politica, per lo più senza asservirsi al governo. Cercando di immaginare per la Russia “un futuro possibile, in bilico tra la migliore e la peggiore delle ipotesi”, la battaglia culturale rimane aperta (in Russia e altrove), ma c’è di che sperare. Per esempio, per tornare a Nabokov, mentre la propaganda per fortuna sparisce, vittima anzitutto della sua stessa piatta mediocrità, “Čechov vivrà finché vi saranno boschi di betulle e tramonti e urgenza di scrivere”.

Francesca Varasano

Scritto da: Radio Glox


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