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Personalmente non credo nella natura positiva e auspicabile del cambiamento in quanto tale. La tradizione, le consuetudine, financo l’abitudine culturale rappresentano la continuità e l’ancoraggio, certamente sempre un punto di partenza per uno slancio innovativo verso lo sviluppo di nuove idee e nuove prassi. Per questo l’affannosa tendenza del potere a imprimere la propria impronta ideologica e politica imponendo un qualche cambiamento, purché sia percepito come tale, non è la via per determinare effettivamente il necessario cambiamento fruttuoso e utile.
L’educazione, intesa come ampia e liberale cura della persona, della natura umana e delle sue potenzialità, è certamente una prassi, oltre che una dottrina, che richiede attenzione e innovazione perché non può non rispecchiare e al tempo stesso governare il cambiamento sociale e personale delle nuove generazioni. L’educazione però è anche conoscenza e riferimento costante al sapere antico e classico, in esso va celebrata l’esperienza umana e i processi di civiltà: rispecchiare il presente grazie alla lente del passato.
La scuola italiana è profondamente sofferente da ormai molti anni, il susseguirsi di governi, modelli ideali e politici non hanno saputo fornire la giusta chiave operativa per rendere concreti ed efficaci i necessari cambiamenti pedagogici, di relazione e di crescita consapevole. La mancanza cronica di fondi, la natura sempre più burocratizzata della professione, la definizione di obiettivi di efficacia ed efficienza per insegnati, plessi scolastici e per gli stessi studenti, hanno traslato l’attenzione dalla qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento alle performance quantitative e strumentali.
Ogni Governo ha ritenuto necessario lasciare la sua impronta riformatrice sulla scuola: metodi di valutazione, programmi di insegnamento, modalità di esami ecc. Molto e ripetutamente si è parlato dei doveri degli studenti e del patto educativo con le famiglie. Si è detto anche dello scarso riconoscimento economico e sociale del fondamentale ruolo degli insignenti. Ma non si è mai parlato della necessità di estendere la formazione richiesta agli insegnati di scuola primaria, anche a quelli degli altri ordini di scuola, che per essere educatori non devono e non possono essere solo esperti conoscitori della materia che insegnano. Quello che manca è non solo la riflessione pubblica, ma la messa in pratica di meccanismi di preparazione concreta alle esigenze vere e necessarie dell’insegnamento: capacità di ascolto, gestione consapevole della personalità complessa in età preadolescenziale e adolescenziale, attenzione e cura del delicato processo di costruzione identitaria, della necessità di pensare e praticare un’azione qualitativa e personalizzata anche sui contenuti.
Il modello di scuola competitivo, che chiede performance e risultati quantitativi applicato da insegnanti che hanno essi stessi livelli performativi da raggiungere è un modello che tende a trascurare l’individualità, la specificità e l’attitudine singolare degli studenti. Il tempo di crescita e le caratteristiche cognitive individuali vengono tralasciate in nome di un “gruppo classe” di generica definizione e quindi di generica gestione.
La scuola è un essenziale agente di socializzazione. Forma, costruisce e educa il futuro di una civiltà, ma ad essa vanno dedicate non reiterate indicazioni ministeriali di indirizzo e guida, ma consistenti attribuzioni finanziarie per la formazione pedagogica e di interazione consapevole e competente dei docenti, per la loro gratificazione professionale e per la creazione di ambienti fisici e relazionali positivi, funzionali e accoglienti.
Non può la sfera dell’educazione basare la sua natura e la sua azione sulla generosità personale, l’empatia e la disponibilità di alcuni eccezionali esempi di insegnanti consapevoli e ispirati.
La scuola non ha bisogno di linee guida, per quanto autorevoli e in parte condivisibili, dettate dall’alto su come intendere, ad esempio, la Storia, su come insegnare la grammatica, sul tornare allo studio mnemonico della poesia o sull’usare la Bibbia per comprendere la cultura occidentale. La scuola ha bisogno di visione, apertura e libertà.
Chiara Moroni
Scritto da: Radio Glox
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con Marta Calzoni & Ilaria Petrongari
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