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“We have to create room if we are to live a feminist life. When we create room, we create room for others.”
— Sara Ahmed, Living a Feminist Life
Dopo mesi di esplorazione attraverso la rubrica ‘Femminile Digitale’, sento il bisogno di tirare le fila di un percorso fatto di osservazioni, narrazioni e riflessioni.
Abbiamo attraversato spazi diversi del web, guardato alle pratiche comunicative delle donne online, analizzato immaginari, tensioni e gesti quotidiani che abitano l’universo digitale. Abbiamo parlato di corpo, voce, algoritmi, comunità, visibilità.
Ho scritto sempre a partire da un’urgenza interiore, cercando di ascoltare cosa mi attraversava in quel momento, nel lavoro e nella vita. Alcuni testi sono nati da rabbia e altri dallo stupore; alcuni dalla voglia di decostruire e altri dal desiderio di raccontare possibilità. Mi sono chiesta che cosa significhi davvero “abitare la rete” da una prospettiva femminile, e cosa comporti mettersi in gioco nel mondo digitale quando il tuo sguardo è fragile e insieme politico.
Questo articolo nasce, quindi, come gesto conclusivo (per ora) di quel percorso. Non una sintesi esaustiva, ma un atlante emotivo: una mappa parziale di emozioni e parole-chiave che possono aiutarci a leggere — e a sentire — il paesaggio del femminile nella rete.
Non è una cartografia oggettiva, ma un gesto politico e narrativo: quello di nominare ciò che si prova, per restituire dignità anche a ciò che sfugge alle metriche e agli algoritmi. Le parole che seguono sono emerse nei mesi in cui questa rubrica ha provato ad abitare, con delicatezza, il territorio fluido del femminile online.
Visibilità
Il digitale promette visibilità. E spesso, alle donne, chiede in cambio la pelle. Apparire, raccontarsi, esserci è un atto che oscilla tra liberazione e consumo. La visibilità può dare voce, ma anche sovraesporre. Rende possibile l’ascolto, ma amplifica il giudizio. In questo doppio legame, il desiderio di essere viste convive con il bisogno di protezione, di riparo, di zone d’ombra.
Cura
La rete è piena di spazi curati da donne. Forum, newsletter, profili social che tengono insieme comunità, fanno domande, offrono ascolto. La cura è una pratica potente, ma anche faticosa. Spesso invisibile, raramente riconosciuta. C’è una cura che nutre e una cura che svuota, quando non è condivisa. Il digitale, se non sorvegliato, divora energie relazionali senza restituire davvero qualcosa in cambio.
Esposizione
Esporsi non è solo mostrarsi. È raccontare, condividere, talvolta mettere a nudo ferite o vulnerabilità. L’esposizione online delle donne attraversa il corpo, le parole, le immagini. E porta con sé il rischio costante dell’attacco, del fraintendimento, del giudizio. Può essere anche uno spazio di affermazione soggettiva, una forma di agency che riscrive l’intimità in pubblico.
Intimità
Cosa significa intimità nel digitale? Forse è ciò che si costruisce nel tempo, tra chi ascolta e chi racconta. L’intimità è una connessione che non ha bisogno di gridare. E spesso sono le donne a praticarla, a inventare nuovi modi per restare in contatto, fuori dal rumore.
Resistenza
Disconnettersi. Stare in silenzio. Uscire dalla scena. Ridere dell’algoritmo. Le forme di resistenza nel femminile digitale non sempre sono eclatanti, ma hanno la forza della coerenza. Scegliere l’anonimato, rifiutare la performatività costante, creare spazi propri e non omologati. Ogni gesto di rifiuto o reinvenzione è una piccola ribellione.
Questo atlante non pretende di esaurire nulla. Ma forse può servire da bussola, per orientarsi in un paesaggio in cui il femminile digitale continua a espandersi, a contraddirsi, a riscriversi. Le emozioni lasciano tracce: mappe parziali, ma necessarie.
L’invito, ora, è a portare con sé queste parole. A usarle per leggere, per sentire, per resistere. E forse, anche per ricominciare.
Elisa Spinelli
Scritto da: Radio Glox
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13:00 - 13:30
13:30 - 16:00
con Marta Calzoni & Ilaria Petrongari
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